La sezione intende offrire una panoramica sui territori delle Medical Humanities: congressi, istituzioni, pubblicazioni, film, cronache. Essa ospita, inoltre, le considerazioni di specialisti in merito ad articoli apparsi su altre testate. Questo spazio riproduce i contenuti della versione cartacea della pubblicazione; i contributi non legati alla periodicità del cartaceo si trovano invece nella sezione
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«Perfusion-decellularized matrix: using nature's platform to engineer a bioartificial heart»
rMH 7
Nature Medicine
Numero 14, 2008
Attualmente si valuta che nel mondo intero vi siano circa 22 milioni di persone affette da un’insufficienza cardiaca. Negli Stati Uniti circa tremila individui stanno attendendo un trapianto di cuore. Purtroppo esiste una grande disparità fra donatori e possibili riceventi, tant’è che un numero considerevole di malati muore durante l’attesa. Le terapie tradizionali che si basano sul supporto farmacologico e sul controllo dell’attività elettrica mediante pacemaker o defibrillatori non hanno al momento potuto incidere in modo significativo sulla prognosi di questi malati. Alcuni pazienti sono candidati per l’impianto di un cuore artificiale , ma tale opzione, oltre che essere molto costosa , è ancora gravata da un significativo tasso di complicanze e la qualità di vita dei pazienti è limitata.
Una svolta nella cura dell’insufficienza cardiaca terminale si avrebbe con lo sviluppo di un cuore bio-artificiale, che potrebbe teoreticamente essere posto quale alternativa al trapianto stesso o all’assistenza ventricolare meccanica. Un esperimento in tal senso è stato compiuto dal gruppo di ricerca cardiovascolare dell’Università del Minnesota, diretto dalla Dott.ssa Doris Taylor, comparso sulla rivista specialistica Nature Medicine all’inizio di quest’anno. I ricercatori hanno prelevato un cuore di ratto e lo hanno inserito in un sistema di perfusione continua per garantire l’apporto di nutrimento e ossigeno attraverso la circolazione coronarica. Il cuore poi è stato trattato con delle sostanze che hanno rimosso progressivamente e completamente la componente muscolare. Alla fine del processo, del cuore era rimasta solamente la struttura di sostegno, vale a dire lo scheletro, composta prevalentemente da collagene e una matrice cellulare a parete sottile. Con la preservazione della struttura tridimensionale del cuore, si è potuto mantenere l’orientamento originario delle fibre muscolari e anche la distribuzione delle arterie e vene coronariche. Questi vasi hanno mantenuto la struttura di supporto, perdendo unicamente il rivestimento cellulare più interno, a contatto con il sangue. In un secondo tempo, questo scheletro è stato popolato da cellule miocardiche prelevate da tessuto cardiaco di ratto neonato. Le cellule, somministrate mediante iniezioni intramurali, hanno occupato gli spazi lasciati liberi dalla decellularizzazione precedente. Per la ri-cellularizzazione dei vasi cardiaci sono state utilizzate cellule endoteliali aortiche di ratto neonato, iniettate mediante perfusione nei vasi coronarici. Il cuore, inserito in un sistema di perfusione coronaria continua, è stato tenuto in condizioni sterili per permettere alle cellule cardiache di moltiplicarsi e popolare l’intero miocardio. Dopo circa quattro giorni, il cuore ha iniziato a mostrare contrazioni spontanee. Dopo otto giorni di cultura in perfusione il cuore si mostrava sensibile a manipolazioni farmacologiche.
Al momento attuale si può ipotizzare che, con una adeguata maturazione, un tale organo, nato da un esperimento di ingegneria cellulare, potrebbe essere disponibile per un trapianto. Il merito particolare di un tale esperimento risiede nel fatto che la ricostruzione di organi, partendo dalla struttura connettivale omologa, sia possibile. La strada per arrivare un domani alla costruzione di banche individuali di organi creati in laboratorio è tuttavia ancora molto lunga e il successo finale tutt’altro che certo. L’esperimento, infatti, è stato eseguito su di un animale, il topo, che presenta una capacità intrinseca di rigenerazione molto superiore a quella dei tessuti umani.
C’è poi da considerare che alcune malattie cardiache possono essere causate da una specifica alterazione genetica e ricostruire un cuore partendo da uno stesso corredo genetico potrebbe portare alla riespressione della malattia nel cuore rigenerato. Infine, non è ancora chiaro, anche nell’esperimento condotto sul topo, quale sarà il comportamento di un tale organo una volta impiantato in un individuo. Un cuore rigenerato in laboratorio non ha un «vissuto» d’anni di crescita insieme ad altri organi. Non sappiamo se il cuore originario abbia progressivamente modificato la sua attività in risposta a stimoli provenienti da altri organi o a stimoli di tipo immunitario.
Il processo rigenerativo, ora che è stato verificato su un organo così complesso come il cuore, sia pur in vitro, potrà in un prossimo futuro essere esteso anche ad altri organi. Parallelamente con lo sviluppo dei processi di bioingegneria bisognerà attendere gli sviluppi della ricerca nell’ambito delle cellule staminali progenitrici. Esse, infatti, opportunamente manipolate, in un prossimo futuro potrebbero fornire una popolazione più vitale e differenziata di quella che al momento viene utilizzata negli studi sperimentali. L’evoluzione alquanto rapida nell’acquisizione di nozioni sul controllo e la crescita cellulare e della ingegneria cellulare, difficilmente ci permette di prevedere l’evoluzione futura in termini di tempo ed efficacia.
Per concludere, si tratta di un passo importante verso un’alternativa al trapianto cardiaco, ma questa tecnica richiederà ancora lunghi tempi per essere perfezionata e valutata. Al di là di queste considerazioni di tipo scientifico, bisognerà appurare quelle che saranno le implicazioni etiche future. Se la scienza renderà possibile quanto ha promesso, bisognerà valutare quali altre prospettive potenzialmente pericolose si possano aprire. Lo spettro dell’eugenetica e della determinazione dell’aspettativa di vita umana saranno problemi esistenziali cui sarà difficile dare una risposta.
Francesco Siclari
«La medicina moderna come servizio sul banco di prova etico»
rMH 7
Bollettino dei medici
svizzeri
2007
In un recente articolo apparso sul Bollettino dei medici svizzeri (2007; 88: 49, pp. 2084-2089), Giovanni Maio, docente di bioetica a Friburgo, denuncia la nascente società del consumo di prestazioni mediche. La relazione medico-paziente, ovvero la relazione personale fra chi offre aiuto e chi soffre, si sta trasformando in una relazione produttore (di servizi)-consumatore. Si è passati dal piano confidenziale a quello contrattuale, un piano che non prevede più la prestazione di un servizio personale e insostituibile, ma l’offerta di un prodotto. In questa relazione l’obbligo morale rischia di esaurirsi nell’informazione sui rischi legati a tale prodotto. Per arginare un sistema che alimenta e asseconda più l’inesauribile narcisismo salutista del cittadino-cliente che la guarigione di chi è malato, Giovanni Maio suggerisce, anzi reclama, un ritorno a una posizione che faccia leva sulla professionalità e la responsabilità del medico, una posizione che controbilanci l’identità economica della medicina a favore di un recupero della creatività e della carità di questa disciplina.
Chantal Marazia