Rivista per le Medical Humanities

La sezione intende offrire una panoramica sui territori delle Medical Humanities: congressi, istituzioni, pubblicazioni, film, cronache. Essa ospita, inoltre, le considerazioni di specialisti in merito ad articoli apparsi su altre testate. Questo spazio riproduce i contenuti della versione cartacea della pubblicazione; i contributi non legati alla periodicità del cartaceo si trovano invece nella sezione «Novità» di questo sito.


La Fondazione Ticino Cuore
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La terapia dell’infarto miocardico acuto, con farmacoterapia
mirata e angioplastica primaria, ha diminuito negli ultimi 30 anni
la mortalità intraospedaliera da oltre 30% a valori di 5-6%.
Purtroppo numerosi pazienti infartuati non raggiungono l’ospedale
perché muoiono improvvisamente a seguito di arresto
cardiaco. Anche nei casi in cui questi pazienti in arresto cardiaco
vengono trattati da soccorritori professionisti delle ambulanze,
il tempo richiesto per raggiungere il luogo dell’incidente è spesso
troppo lungo, oltre i 10 minuti. Di conseguenza il paziente
viene rianimato con successo, ma il tempo prolungato di anossia
cerebrale, dovuta alla mancanza di circolazione, provoca gravi
danni neurologici, spesso irreparabili, che non ne permettono
la sopravvivenza.
L’introduzione di defibrillatori semiautomatici esterni, dispositivi
di piccole dimensioni e di facile utilizzo, disponibili in vicinanza
di questi pazienti in arresto cardiaco, permette di salvarli
con un intervento tempestivo: l’apparecchio defibrillatore, applicato
con gli elettrodi alla persona incosciente, riconosce l’aritmia
cardiaca fatale della fibrillazione ventricolare e segnala acusticamente
la necessità della scarica elettrica. Il soccorritore,
professionista o laico, deve premere il pulsante dello «schock
elettrico» e la defibrillazione ripristina immediatamente il ritmo
normale, salvando la vita al paziente.
Gli arresti cardiaci avvengono ovunque: per strada, in auto,
nei grandi magazzini, allo stadio, nelle stazioni ferroviarie, negli
aeroporti e spesso a casa, dove purtroppo non vi è solitamente
la presenza di chi può aiutare. Nella popolazione si stima la frequenza
dell’arresto cardiaco nell’uno per mille abitanti all’anno:
in Ticino circa 300 casi, in Svizzera oltre 7000.
I primi defibrillatori semiautomatici esterni sono stati impiegati
con successo nei grandi aeroporti americani, dove vengono
ubicati vicino agli estintori, a 200 metri di distanza uno dall’altro.
In Ticino la necessità di introdurre sul territorio questi salvavita
è stata recepita da alcuni anni. All’inizio del 2005 si è costituita
la Fondazione Ticino Cuore, presieduta dal Dr Romano Mauri,
Presidente anche della Croce Verde di Lugano e Caposervizio
di Cardioanestesia del Cardiocentro Ticino. Grazie all’apporto
economico predominante di alcuni sponsor privati e del sostegno
del Dipartimento della Sanità e della Socialità, del Cardiocentro
Ticino, dell’Ente Ospedaliero Cantonale, della Suva e della
FCTSA, abbiamo potuto distribuire sul territorio del Canton
Ticino oltre 200 apparecchi per la defibrillazione semiautomatica.
L’obiettivo della nostra Fondazione è di arrivare entro 2 anni a
circa 400 apparecchi, uno ogni 800 abitanti, privilegiando i paesi
discosti, nelle valli, dove i tempi di percorrenza delle autoambulanze
sono più lunghi. La rete capillare viene pilotata dalla
centrale di soccorso 144, mentre la coordinazione operativa viene
assunta da Claudio Benvenuti che sorveglia la rete di distribuzione
e verifica la necessità del territorio. È suo anche il compito
di istruzione dei possibili partner nel salvataggio dei pazienti
in arresto cardiaco: polizia, corpi di pompieri, impiegati di grandi
magazzini, banche e alberghi, parenti di pazienti cardiopatici
o semplici volontari. il nostro scopo è di rendere capillare la presenza
di tali apparecchi come avviene per gli estintori nella
prevenzione degli incendi. il nostro progetto vorrebbe raggiungere
la scuola, formando con 2-3 ore di insegnamento i giovani
alle pratiche rianimatorie per prepararli così a un qualificato
atto di solidarietà in tutto il nostro territorio.
La campagna informativa, denominata HELP, della Fondazione
Svizzera di Cardiologia vuole sensibilizzare i cittadini a reagire
rapidamente nel caso di emergenze cardiache e cerebrali.
Il Ticino nell’ambito della defibrillazione elettrica precoce rimane
pioniere in Svizzera e risulta il Cantone più «cardioattrezzato».
Il nostro scopo primario è quello di sviluppare una cultura
dell’emergenza cardiologica, di ridurre la mortalità cardiaca
e di salvare tante vite umane.

Tiziano Moccetti

Simposio sul dono e il trapianto d’organi
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 Ospedale Regionale di Lugano
18-20 gennaio 2007

«Lei sa se suo figlio sarebbe stato d’accordo di donare i propri organi?».
Per preparare medici e infermieri a porre questa delicata
domanda, da qualche anno ha luogo anche in Ticino il corso
EDHEP (European Donor Hospital Education Programme).
Ed è proprio con questo corso che si è aperto il simposio sui trapianti
d’organo, tenutosi all’Ospedale Regionale di Lugano
dal 18 al 20 gennaio scorsi.
Michele Tomamichel, direttore dell’Organizzazione sociopsichiatrica
cantonale e responsabile del corso EDHEP, ha esordito
invitando i presenti a riflettere sul modo in cui ciascuno vive
una perdita, per poi proseguire nel lavoro di gruppo sino a condurre
i partecipanti a cimentarsi in un gioco di ruolo in cui
veniva chiesto di comunicare una notizia infausta a un famigliare
(interpretato dall’attore Gerry Beretta Piccoli). Si trattava ovviamente
di trovare di volta in volta la maniera più opportuna per
avanzare la domanda a proposito della disponibilità a donare gli
organi.
A questa entrata in materia di forte impatto emotivo ha fatto
seguito una giornata più «tecnica», durante la quale sono stati
affrontati da parte di vari specialisti alcuni fra gli aspetti principali
oggi in discussione nel contesto dei trapianti. Claudio Städler,
caposervizio di neurologia all’Ospedale Regionale di Lugano
(ORL), ha illustrato i criteri clinici per diagnosticare la morte
cerebrale, primo passo in caso di espianto degli organi da un
paziente deceduto. Quindi, Roberto Malacrida, caposervizio di
medicina intensiva all’ORL, ha illustrato come viene coordinata
la complessa operazione di trapianto d’uno o più organi. Non
ha omesso di abbordare anche gli aspetti legali ed etici in gioco.
Quali e quanti professionisti sono coinvolti in un trapianto?
Come vengono trasportati gli organi? Quanto tempo c’è a disposizione?
E ancora: assentire al dono d’organi è una questione
di solidarietà sociale? Esiste un diritto a ricevere un organo in caso
di necessità? Come comportarsi se il paziente aveva espresso
il desiderio di donare gli organi, ma la famiglia si oppone?
Queste alcune fra le numerose domande sollevate. In seguito,
Graziano Martignoni, psichiatra e psicoanalista, ha spinto
la riflessione oltre, abbordando il tema degli xenotrapianti e
del loro significato a livello simbolico.
La giornata s’è quindi chiusa con la presentazione e la spiegazione
da parte di Paolo Cattorini, ordinario di bioetica all’Università
degli Studi dell’insubria, del film 21 grammi di Alejandro
Gonzales innarritu (USA, 2003). Film estremamente interessante,
oltre che per lo spiazzante e brillante montaggio, anche per
come mette in scena, sovrapponendole e intersecandole fra loro,
le vicende delle diverse famiglie coinvolte in un’esperienza
di trapianto. In genere, focalizzando la propria attenzione o sull’aspetto
dell’espianto o su quello dell’impianto degli organi,
si tende spesso a dimenticare che ogni trapianto comporta
contemporaneamente la storia di una famiglia in lutto e la storia
di una o più persone che rinascono a nuova vita.
Di estremo interesse, infine, è stata anche la tavola rotonda con
la quale sabato s’è chiuso il simposio. Christian Mélot, caposer-
vizio di medicina intensiva all’Ospedale universitario di Bruxelles,
ha illustrato la relativamente nuova pratica degli espianti a cuore
non battente. In sintesi, questa tecnica prevede di riprendere
il massaggio cardiaco, al solo scopo di mantenere gli organi irrorati
(reni e fegato) in vista di una loro possibile donazione. Se la
popolazione è ben informata sulle modalità e il senso di questa
pratica, essa consente di incrementare notevolmente il numero
dei potenziali donatori, come lo si sta constatando nei Paesi
Bassi e in Spagna. Arnaud Perrier, primario di medicina all’Ospe-
da le universitario di Ginevra, ha però spiegato perché a suo
avviso oggi in Svizzera non siamo ancora pronti a introdurre tale
metodo di prelievo degli organi. La reticenza, che a Ginevra è
già stata tradotta in una moratoria, non è dovuta a motivi di natura
tecnica, bensì soprattutto etico-psicologica. Il problema sta, fra
l’altro, nel pochissimo tempo dato ai famigliari per poter decidere
nostro Paese per ora è stata accantonata, certo è che bisognerà
trovare altre vie per incrementare il numero dei donatori.
Nel 2006 la Svizzera era al penultimo posto in Europa per numero
di donatori d’organo per milione di abitanti (10.7%, contro
la Spagna che ne contava più del triplo). Giova ricordare che le
probabilità di aver bisogno di ricevere un organo sono dieci
volte superiori a quelle di donarlo, fermo restando che ciascuno
è e deve essere assolutamente libero di decidere a favore o meno
del dono dei propri organi. Il simposio di gennaio, che ha riscosso
un considerevole successo presso il pubblico, ha avuto, fra gli
altri, il grande pregio di permettere ai «profani» di forgiarsi
un’opinione in merito, in quanto ha offerto un’informazione ad
ampio raggio sui vari aspetti della questione.
 
Anne Kauffmann

La macchina: madre o matrigna? Telemedicina, Robotica e Cura
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10° Seminario della Fondazione di ricerca psicooncologica di Lugano e dell’Associazione Triangolo


Hotel de la Paix
Sala Conferenze
Lugano
7-8 febbraio 2007

Il seminario ha preso avvio con una conferenza di Maria Chiara
Carrozza che ha introdotto l’argomento parlando di robotica e
rapporto con l’uomo: dalla robotica industriale per la produzione
di ausilii, alla robotica di servizio, a quella biomedica e, in una
prospettiva aperta sul futuro, alla robotica personale accompagnata
dal sogno di replicare la natura riproducendo noi stessi.
immediata, la reazione di Claudio Bonvecchio che dichiarava,
provocatoriamente, l’inaccettabilità, il pericolo di questi
sviluppi, quindi la necessità di impedire la ricerca su tecnolo-
gie che comunque, ricordavano altri, sono già realtà.
Non è difficile intuire la portata del problema fin nella quotidianità
dell’esperienza dei curanti perché anche se, per ora, non
si ha, in apparenza, così tanto a che fare con questioni di robotica,
sempre più ci si deve misurare con la tecnologia e con la scienza,
che condizionano pesantemente le decisioni cliniche e l’agire
di chi cura.
Carlo Sini ha proposto l’idea di macchina come protesi che
aggiunge qualità all’azione umana ma che contemporaneamente
diventa parte dell’uomo (e non solo del mondo); la macchina
pervade, potenzia e prolunga, costituendo una grande opportunitàma
creando anche problemi che possiamo riassumere nel
pericolo di oggettivazione dell’uomo, dove quest’ultimo, pervaso
dalla macchina, ne assume anche lo statuto.
Pure Giuseppe O. Longo ha sottolineato che l’interazione uomomacchina,
uomo-tecnologia è talmente profonda che l’uomo
ne risulta modificato cognitivamente, emotivamente e socialmente.
«Per avere un vantaggio, si paga uno scotto», ha affermato.
L’alta pervasività degli strumenti fa sì che riferirsi all’idea
di un loro «buon uso» sia una posizione ingenua: gli strumenti
hanno una loro potenzialità che si impone all’uomo e il destino
di molte tecnologie dimostra che gli intenti primari definiti dall’uomo
vengono poi traditi da una certa indipendenza della
macchina.
Del resto, però, le opportunità offerte dalla macchina costituiscono
una grande tentazione per l’uomo perché permettono
di superare l’idea del limite, dell’incertezza, della precarietà,
della parzialità, della disgregazione e della caducità.
Permettono cioè di avvicinarsi all’idea di onnipotenza e di immortalità,
e questo senza nemmeno che ce ne si accorga, in virtù
di un altro dato di fatto che caratterizza sempre lo sviluppo tecnologico
e che faceva presente Don José Maria Galvan: più la tecnologia
si sviluppa e più si nasconde (nel naturale).
Come uscire allora da questo dilemma? Come fare in modo di
poter assumere qualche beneficio da tutto ciò senza cadere vittime
della tecnologia?
Altri relatori (Carlo Del Favero, Davide Gai, Francesco Siclari,
Claudio Moriconi, Claudio Rugarli) si sono avvicendati nel po-
meriggio, illustrando alcune applicazioni della robotica nell’ambito
sanitario – telemedicina, robotica in chirurgia e in radiologia…
– per giungere infine alla sintesi conclusiva, ad opera di
Graziano Martignoni, di una giornata ricca tanto in stimoli teorici
quanto in immagini. Anche in immagini, infatti, poiché nel corso
del seminario il pubblico ha assistito alla proiezione di frammenti
di film e alla lettura, da parte di Gilberto Isella, di brani
letterari, capaci di mettere in scena con grande forza, i sogni
e le paure che accompagnano gli sviluppi della robotica.

Clelia Bianchi-Guglielmetti
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La contenzione fisica e farmacologica: implicazioni assistenziali, etiche, deontologiche
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Collegio iPASVi
Como
6 marzo 2007

Lo scorso marzo si è tenuta a Como una giornata di riflessione
attorno al tema della contenzione. Gli obiettivi dell’incontro
erano principalmente due: riflettere sulle esperienze professionali
dei curanti che applicano ed evitano la contenzione e ipo-
tizzare strategie per diminuire il ricorso a questa pratica diffusa.
In particolare, lo scopo era quello di sensibilizzare gli operatori
del settore rispetto alla necessità di ridurre il ricorso alla contenzione
nelle sue diverse forme. Essa è da considerarsi come
strumento straordinario e – soprattutto – come gesto di straordinaria
gravità, essendo volto a limitare la libertà dell’altro.
Alcuni aspetti emersi durante questa giornata mi sembrano
particolarmente significativi. Innanzitutto è importante ricordare
che le «spondine» applicate ai letti e il tavolino fissato ai braccioli
della poltrona sono da considerare mezzi di contenzione
qualora il loro utilizzo non sia stato richiesto dal paziente,
o concordato con lui, per rispondere ad altre esigenze. Quindi
non è l’oggetto in sé ma l’uso che se ne fa e l’intenzione di chi
lo utilizza, che fanno di questi oggetti degli strumenti di contenzione.
La mancata conoscenza del corretto metodo di applicazione
dei diversi mezzi può minacciare l’incolumità del paziente
(rischio di asfissia da intrappolamento o sospensione nel
dispositivo, durante movimenti per liberarsene). Infine, gli studi
condotti in questo ambito mostrano che la riduzione del ricorso
alla contenzione non si associa a un aumento delle cadute
e non determina alcun cambiamento significativo nell’incidenza
delle lesioni traumatiche.
L’aspetto che è emerso più fortemente durante la riflessione
con i partecipanti al convegno riguarda le implicazioni e le ricadute
che il ricorso frequente alla contenzione determina invece
a livello professionale. A questo proposito, occorre ricordare
che i curanti che ricorrono rapidamente a manovre di contenzione
sono spesso quelli che non posseggono adeguate risorse
comunicative e relazionali da spendere nel rapporto terapeutico.
Questa consapevolezza dovrebbe dunque suscitare nel curante
un sentimento di inadeguatezza e far sentire quanto il ricorso
abituale a tali manovre rappresenti in molti casi, da un punto
di vista professionale, un fallimento.

Valentina Di Bernardo
 
 
 

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