Le fotografie pubblicate in questo numero
della rivista ci introducono nell’atelier
dello scultore Mario Negri attraverso
l’occhio di qualcuno che conosceva
la sua opera molto bene, avendola
accompagnata sin dalla prima esposizione
personale alla Galleria del Milione a
Milano nel 1957. Siamo nel maggio 1987,
sono passati esattamente trent’anni, e
Arno Hammacher torna ancora una volta
nello studio del suo amico, scomparso da
poche settimane, come per accertarsi, con
i mezzi propri della fotografia, non della sua
assenza, ma, semmai, della sua presenza.
La scelta di pensieri è tratta, per gentile
concessione dell’editore, da: M. Negri,
Note di studio, a cura di S. Esengrini,
Pagine d’Arte, Capriasca, 2018.
La semplicità in scultura è la cosa più complicata: ha il posto ed il peso che la saggezza ha nella vita di un uomo.
Spero di non aver mai fatto cose che non avessero la loro prima radice nell’umano.
Scultura felice è quella che si fa da sé. Via via che cresce in dimensioni volumi e piani, rimandi e riprese, tensioni e pause con ritmi alterni di ombre e di aperture alla luce, la scultura più naturale è quella che cresce mano a mano, attraverso di noi, quasi autogenerandosi. Venendo su, come viene dal limbo del mai esistito, essa entra, per nostro tramite, nella realtà e nella luce dell’esistente. Noi dovremmo solo facilitarne la nascita e assecondarne la crescita.
Benché si sappia bene che la scultura è «immobile», proprio per questo essa dovrebbe prendere a muoversi tutta dal di dentro, animarsi all’interno dei suoi perimetri e prendere per sé quella via che proprio l’immobilità parrebbe negargli.
Nel silenzio e nella penombra delle cattedrali, più che nei musei, le sculture vivono la loro autentica vita, assorti testimoni delle nostre vicende, di noi che passiamo e di coloro che se ne restano ad attendere altri che, come noi, passeranno. Il tempo (materiale) delle statue non è come il nostro, lo spirito di chi le ha create rinasce in noi che le riconosciamo ancora viventi.
La maturità insegna a vivere con pienezza: deve esserci ancora il tutto in quel poco che rimane. Essa impone attenzione ai particolari: proprio a quelli che un tempo sembravano insignificanti, poiché in essi esistono straordinarie mutazioni, imprevedibili, importanti e vitali quanto il contesto generale.
Inselvatichiti dalla solitudine, gli scultori vivono, ormai, come quegli ultimi che ancora dimorano sui monti.
Cosa accadrà quando non sarò più, sarà come non ci fossi mai stato?
Prima di svivere e disfarmi vorrei poter sorridere ancora come sa sorridere un fanciullo.
Mario Negri