Rivista per le Medical Humanities

Si tratta di uno «spazio espositivo» che arricchisce mediante illustrazioni ogni numero della rivista. Troverete pubblicati in questa sezione solo una fotografia di ciascun autore e il commento alle immagini proposte all'interno del numero. La pubblicazione integrale del portfolio la riserviamo, infatti, ai lettori e agli abbonati della versione cartacea della nostra rivista.

nota di Matteo Terzaghi

Fotografia di Karl Blossfeldt



          Il libro fotografico Urformen der Kunst (Forme originarie dell’arte) di Karl Blossfeldt fu pubblicato per la prima volta nel 1928, per le cure del gallerista berlinese Karl Nierendorf, e ottenne un immediato successo internazionale, come attestano le varie edizioni del volume uscite in Europa e a New York nel giro di pochi mesi. Sebbene realizzate primariamente a scopo didattico, le «tavole botaniche» di Blossfeldt dovevano apparire, in quegli anni, come uno dei raggiungimenti più avanzati della tecnica fotografica, soprattutto per le riprese ravvicinate e i forti ingrandimenti. È proprio recensendo questo libro, ad esempio, che Walter Benjamin scrisse, quasi ricalcando l’introduzione di Nierendorf, le righe spesso citate: «Se noi affrettiamo la crescita di una pianta con una sequenza accelerata o mostriamo la sua figura ingrandita quaranta volte – in entrambi i casi nei punti dell’esistenza dove meno l’avremmo aspettato zampilla un geyser di nuovi mondi di immagini».
          Simili «geyser» di solito si esauriscono in fretta. Superata la sorpresa, il nuovo collassa o si diluisce in una gran quantità di esperienze analoghe, soprattutto quando si basa su apporti esclusivamente tecnici. Non è il caso di queste fotografie, che non finiscono mai di mostrare quello che hanno da mostrare, tanto attento e penetrante, e tuttora vivo, è lo sguardo del loro autore. Con una battuta si potrebbe dire che quelle di Blossfeldt sono piante medicinali – medicina per gli occhi e la mente – che a distanza di quasi un secolo conservano intatto il loro principio attivo.
          Benché venga a volte annoverato tra i padri della fotografia moderna, l’interesse di Blossfeldt era tutto per le piante. La dedizione con cui ne ha indagato le forme e gli aspetti plastici non è inferiore a quella che negli stessi anni Moholy-Nagy e compagni riservavano allo studio delle possibilità artistiche del mezzo fotografico. Per preparare i suoi campioni vegetali, scegliere gli sfondi, l’illuminazione e le inquadrature; per cogliere il gioco dei pieni e dei vuoti, le parti morbide e quelle ruvide o spinose, le linee curve e spezzate dei profili, le simmetrie e le asimmetrie, le regolarità che definiscono le strutture, l’unità e il molteplice, i toni e i contrasti, a Blossfeldt bastava la sua solida preparazione accademica. E anche artigianale: colpisce il fatto che egli iniziò la propria formazione come apprendista in una fonderia, dato che alcuni suoi «germogli» e «ramificazioni» ci appaiono proprio come fusioni di metallo o lavori in ferro battuto.
          Il successo di Urformen der Kunst incoraggiò Blossfeldt a pubblicare, nel 1932, un secondo volume di fotografie botaniche, con il titolo Wundergarten der Natur (Meraviglioso giardino della natura). Nella nota introduttiva Blossfeldt dichiara: «Non è mia intenzione attribuire a questi documenti visivi alcun significato particolare». L’arte, scrive, deve poter attingere, per rimanere sana e vigorosa, alla «eterna e inesauribile fonte di giovinezza della natura, da cui tutte le culture si sono evolute». Blossfeldt, come molti suoi contemporanei, vedeva nelle piante un connubio esemplare di funzione e ornamento, di adattamento alle necessità materiali della vita e di bellezza. Evidentemente per lui il concetto di ornamento non era ancora caduto in quel dispregio in cui il movimento moderno lo stava relegando.
          La frase di Blossfeldt appena citata è inequivocabile, inoltre, nell’affermare che la natura costituisce la base comune, la matrice, la Urform di ogni cultura. Così ad esempio le scanalature dei fusti delle colonne architettoniche classiche sembrano trovare una conferma della loro origine negli equiseti con cui si apre il primo volume. Che la colonna derivasse dal tronco dell’albero o anche dalla figura umana, del resto, era un’idea diffusa, suffragata dalle decorazioni arboree dei capitelli e dai loro eventuali profili antropomorfi.
          Oppure, altro esempio, la spirale. Rintracciabile con i suoi vari significati simbolici sin nelle testimonianze più arcaiche delle culture occidentali e orientali, la spirale è nel guscio della chiocciola e dei molluschi marini (oltre Portfolio Fotografie di Karl Blossfeldt 4 che, passando dal micro al macrocosmo, nelle galassie che a partire da metà Ottocento cominciano a essere visibili attraverso i telescopi), ma anche nei vegetali. Tra i numerosi scritti botanici di Goethe, ce n’è uno in cui il poeta insiste sulla spirale in quanto principio della crescita e della metamorfosi delle piante, da considerare accanto al più evidente principio verticale. Qui, come in altri suoi scritti scientifici, la prosa di Goethe, così sensibile alle qualità morfologiche degli oggetti studiati, sembra discendere dagli stessi spiriti, dalla stessa attitudine culturale da cui appunto sono poi discese, un secolo più tardi, le fotografie di Blossfeldt.
          Eccone, in conclusione, uno specimen, in una traduzione d’epoca: «Noi vogliamo considerare la tendenza a spirale come il vero principio vitale riproduttore; esso ha un’intima connessione col precedente [il principio verticale], ma si porta di preferenza alla periferia. Questa tendenza può nondimeno manifestarsi sin dalla prima germinazione, come possiamo ravvisare in alcuni Vitalbini. Pure ella si manifesta principalmente nelle estremità e nei punti di compimento. Di tal modo le così dette foglie composte spesso finiscono in forma di viticcio; così pure dei piccoli steli compiutamente conformati, nei quali i vasi del succhio predominano e manca la solidescenza, appaiono sotto forma di viticcio o forcuti, prendendo una curvatura più o meno rapida o lenta».

Matteo Terzaghi

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