Rivista per le Medical Humanities

Si tratta di uno «spazio espositivo» che arricchisce mediante illustrazioni ogni numero della rivista. Troverete pubblicati in questa sezione solo una fotografia di ciascun autore e il commento alle immagini proposte all'interno del numero. La pubblicazione integrale del portfolio la riserviamo, infatti, ai lettori e agli abbonati della versione cartacea della nostra rivista.

nota di Gian Franco Ragno

Fotografia di Christof Klute



          Ampi spazi diafani, dove il respiro si fa più lento e profondo. Ambienti colti con una purezza inedita dello sguardo – laddove è possibile una riflessione in un nuovo universo, sobrio ma non per questo disadorno. Ancor più essenziale e senza peso.
           Christof Klute giunge alla fotografia dopo una solida formazione filosofica e teologica, e la fase della sua carriera rappresentata in questo portfolio è volta alla ricerca e all’incontro con i luoghi dell’utopia e dello spirito. Le architetture di Jacobsen, Moretti e Terragni, come la Collegiata di Sarnen di Ernst Studer, marcatamente influenzata dallo stile di Le Corbusier, sono prima indagate e analizzate, e in seguito rivissute e descritte, con rispetto per il contesto e attenzione ai dettagli. Luoghi che Klute registra nelle loro più lievi variazioni di tono e nella luce che si fa spazio – anche nell’accezione di trasparenza.
           È infatti attraverso un processo di sottrazione che Klute prosegue il suo percorso artistico. Si libera di elementi estranei alla visione più profonda e giunge a rappresentare le forme più pure ed essenziali, una dimensione costituitasi in ordine e armonia. Il tutto spinge verso un linguaggio fotografico basilare quanto autentico. Come se fosse nell’intento dell’autore ubbidire a un’eco del pensiero neoplatonico – Plotino, e prima ancora Platone – secondo il quale l’artista ha già in sé la forma dell’opera e può raggiungerla scartando, levigando ed eliminando il superfluo intorno ad essa.
           Questo il significato ultimo delle ampie superfici bianche, delle campiture senza traccia: esse sono luoghi della possibilità e del dialogo, capaci di aprire il campo a una riflessione più intima e spirituale. Superfici piane che assorbono la luce e nel contempo accolgono lo sguardo in cerca di riposo. All’opposto del tempo attuale, incapace di rimettere in discussione e rinnovare il proprio vocabolario, di sottrarsi a un frenetico orizzonte confuso, narcisistico, di cieco accumulo. Ed è quindi qui che nasce la necessità di riallacciare un dialogo con il racconto – in realtà non così antico – della stagione dell’utopia, tanto architettonica e artistica quanto culturale nel senso più ampio. Il bisogno, quasi fisico, di entrare in luoghi dove fragile si concretizza l’avanguardia delle idee, scavalcando noi stessi l’ostacolo di un nostro tempo senza spinte ideali. Ritrovare una dimensione nella quale la prospettiva e il pensiero salvifici erano comuni, condivisi e ricercati.
           Poiché è proprio nel misurare l’intervallo e lo iato tra noi e questi luoghi che possiamo riformulare un mutamento necessario e perfino urgente.    

Gian Franco Ragno

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