Riguardando con stupore le enigmatiche immagini fotografiche di Matteo Emery, non ho potuto non avere una prima percezione che mi ha fatto conoscere la loro superficie, e una seconda che mi ha fatto conoscere la loro profondità semantica. Nel dire queste cose mi richiamo al rivoluzionario discorso fenomenologico di Edmund Husserl che, quando ha parlato di epoché, intendeva sottolineare come, solo con la sospensione di ogni giudizio e di ogni teoria, si giunge a cogliere l’essenza, la regione eidetica, del reale.
Nella prima percezione si ha l’impressione, o l’illusione, di riconoscere elementi abitualmente visibili in vita: parti del corpo, radiografie ricucite con ago e filo, oggetti materiali, spilli, chiodi, bottiglie, gomme riciclate, o figure indistinte che somigliano a nuvole aeree, e inafferrabili; e ciascuna di queste impressioni è come slegata l’una nei confronti dell’altra.
Le impressioni cambiano radicalmente in una seconda percezione alla quale si giunge solo riguardando, e rimeditando, le diverse immagini che assumono improvvisamente un’altra dimensione, quella eidetica, nella quale le cose rappresentate nella prima immediata percezione si ricollegano le une alle altre; inserendosi in un discorso di senso, e di ricaptazione ermeneutica delle cose misteriosamente unitario. L’occhio, che inizialmente non vedeva se non isole semantiche chiuse, e uniformi, coglie adesso improvvise e scintillanti epifanie che destano stupore; e l’ignoto, che nascondeva in sé bagliori di dolore e di perfezione formale, si rivela allora nella sua realtà profonda, nella sua metarealtà, o meglio nella sua iperrealtà.
Questo cambiamento radicale di significati, questa metamorfosi senza fine, si manifesta nelle sue struggenti ed emblematiche modalità espressive in fotografie che testimoniano di laceranti e composte ferite dell’anima. Una nuvola delicata e impalpabile, nitida e aerea, è sommersa da cascate di spilli che dolcemente la oscurano; e questo non significa forse che la vita, così mutevole e fragile, così morbida e leggera, non riesce a sfuggire al dolore e alle ferite che la straziano nel silenzio e nell’indifferenza? In un’altra immagine, fredda, ghiacciata, dura, i chiodi contorti non lacerano ma si limitano a lambire le geometriche e astratte figure sottostanti che sembrano rappresentare due polmoni stilizzati.
Non solo in queste immagini del resto, ma anche nelle altre, il mistero della vita, gli intrecci che essa ha con il dolore e con la sofferenza, con la fragilità e la debolezza, con la durezza e la leggerezza, rinascono nella loro struggente cifra tematica.
Eugenio Borgna