Le fotografie qui pubblicate
sono state realizzate durante
una trentina di visite all’interno
del carcere San Vittore a Milano
effettuate tra il 1992 e il 2004,
alcune in occasione di eventi
aperti alla stampa, altre individuali,
per conto di varie testate, tra cui la
rivista
Magazine 2,
redatta dai detenuti.
(…) È questo che è veramente sovversivo: rinunciare alla retorica, all’effetto, a quel che ci si aspetta, per raccontare la verità. Quello che ogni buon fotografo di
straight photography dovrebbe fare. Vedere quello che c’è da vedere, raccontare quello che c’è da raccontare, trovando la poesia, il sorriso o il dolore là dove sono, senza andarseli per forza a cercare. Senza inventarli. E così va a finire che le fotografie non sono più solo documenti, ma salgono di categoria e parlano di qualcos’altro.
Una volta Schirer mi ha detto che le fotografie devono essere tutte bene a fuoco. Può sembrare una banalità, e invece è un’estetica. È il rifiuto dell’accademia, della leziosità, del giochetto per strappare la meraviglia, la sorpresa, l’applauso. È l’affermazione di chi ha un’identità così forte che non ha bisogno di cercarla nella sofferenza altrui, e si può permettere di dire la verità anche quando gli chiedono finzioni. È quello che fanno sempre i bravi reporter, perché sanno che alla fine il senso della loro vita è lì. (…)
È a questo che servono le buone fotografie, le fotografie a fuoco. Guardatene ancora una, per favore: la detenuta che cammina nel corridoio con tutte le porte delle celle aperte. Lo vedete com’è dritta la sua schiena, com’è orgoglioso il suo passo? Non è una detenuta, quella. È una persona umana. Ve n’eravate accorti?
Luca Rossi