Pavia, marzo-dicembre 2007.
Più di 120 persone tra Rom e rumeni (70 sono bambini) accampate nella fabbrica dismessa Snia Viscosa. Il Comune le ignora. I servizi sociali non frequentano il posto perché considerato pericoloso. I bambini non vanno a scuola. Soltanto la Caritas porta regolarmente cibo e vestiti. Al bisogno medicine. Vengono sgomberate a luglio. La fabbrica, una costruzione del primo Novecento, in parte abbattuta. I Rom dispersi nella campagna circostante. Alcuni ricevono soldi per tornare nei luoghi di provenienza: Slatina e Craiova. Partiranno e poi torneranno in Italia per fermarsi e partire di nuovo.
Alla fine è stata la voce
che ha portato dentro i coltelli,
una voce che scava, piatta, una voce
che trivella e non contiene più
intera la persona ma solo impugnature e lame
Mani senza rancore impastano un pane
di disincanto e costruiscono
trincee di cibi caldi per guerre
da non combattere
L’urto del sangue ha formato negli occhi
un ingorgo ostile. Poi la pupilla ha sciolto
la sostanza delle lettere e l’ha fatta esplodere
perché ne scaturissero ancora frasi vere
Nonostante l’implacabile blu finiranno
questi mesi di inganni sospesi oltre ogni regola
dentro una calma catastrofe
Di colpo da quei muri rotti
è filtrata una luce violenta
che ha illuminato le nostre interne macerie
spazzando via ogni commiserazione e indulgenza
Pensieri sgangherati si sfasciano
sulle soglie della perdita
per poi ricomporsi più freddi, più lisci
lungo una scia di riparazione
La miseria non chiede il permesso
strappa i sipari alla decenza
e testarda interroga il suo tempo
Al di là degli orologi sregolati
cominciano sempre all’alba le giornate
anche nella fabbrica tra topi affamati che salgono
i gradini delle ore
Ci sono strade che non si fidano
a lasciarvi passare quando il sole è alto
e selciati bugiardi che sostengono di non avervi mai
visti: muri che tremano agli incroci delle vie quando
vi aggirate allungando la voce alla pietà
Puoi anche chiamarla guerra
ma non è che un tornare, di saturazione
in saturazione, verso un ritmo di
consuetudine più sgombro
E in crescendo risuona il vostro arrivare partire
mentre gli indirizzi si perdono in una monotonia di
passi e di sfacelo
Anna Ruchat