Rivista per le Medical Humanities

Si tratta di uno «spazio espositivo» che arricchisce mediante illustrazioni ogni numero della rivista. Troverete pubblicati in questa sezione solo una fotografia di ciascun autore e il commento alle immagini proposte all'interno del numero. La pubblicazione integrale del portfolio la riserviamo, infatti, ai lettori e agli abbonati della versione cartacea della nostra rivista.

nota di Carlos Fuentes

Fotografia di Flor Garduño



           Il tempo indigeno è insieme vasto e minuzioso, infinito e limitato. I messicani antichi lo vivevano nell’abbraccio incalcolabile dei Soli successivi di una creazione che già conteneva la promessa di morte e rinascita. Ma lo vivevano anche nella bellezza e la seduzione immediate di una statuetta di Jaina, una mascherina sorridente o un pappagallo stilizzato per l’eternità. Gli antichi abitanti dell’Ecuador, del Perù e dell’Alto Perù immaginavano il mondo come una successione di orizzonti temporali, vasti, incommensurabili, forse visibili soltanto, come le linee di Nazca, a volo d’uccello. Eppure forse nessuna civiltà ha prestato più attenzione, o portato più rispetto all’umile presenza di un tessuto, un nodo, uno specchio.
           Flor Garduño è entrata in questo mondo per ritrarre l’istante: il minuto del sorriso, la maschera, l’atteggiamento. Però attraverso gli elementi luminosi della sua fotografia – acqua e albero, terra e aria – si manifestano gli orizzonti, i soli della terra india d’America. Il ponte tra l’istante e i secoli sono gli occhi dei suoi testimoni. Seduto in una camera pulita, lo sguardo rivolto alla porta, forse appena accecato dalla luce, accompagnato da un uomo lievemente inclinato per ascoltare o dire qualcosa, il Taita Marcos di una grande fotografia di Garduño è seduto anche al centro stesso dell’universo, osserva anche la successione angosciante e allegra dei soli, si converte in protagonista degli orizzonti. Il Taita Marcos possiede la memoria e forse anche la predizione. È in due tempi: è in due mondi.
           Penetrare entrambi i tempi (l’immenso e il minimo; l’adesso, perfino il «subitissimo», senza perdere contatto con il tempo di prima e il tempo a venire) è il segreto dell’arte di Flor Garduño. Non è necessario abbandonare il suo testimone, il Taita Marcos dell’Ecuador, per guardare la processione di testimoni del tempo, il cammino cadenzato dalla vita alla morte, interrotto dall’incidente comico, dal divertimento infantile, dalla cerimonia liturgica, dal riposo erotico. Ci sono molte vie nelle foto di Garduño: alcune portano alla festa, altre al camposanto, altre, semplicemente, al campo di lavoro. Però prima o poi tutte attraversano quella soglia di incenso entro la quale, in modo incerto, natura e artificio si confondono perché gli uomini abbiano un margine di capriccio, libertà, o coerenza, di fronte agli dei. (...)  

Carlos Fuentes

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