Rivista per le Medical Humanities

Grbavica – Il segreto di Esma
Regia Jasmila Zbanic, Austria/Bosnia-Herzegovina/Croazia/Germania, 2006

«Il segreto di Esma non parla solo della guerra. Parla prima di tutto d’amore, in particolare di un amore che non è puro perché è mischiato con l’odio, il disgusto, la disperazione. Parla di vittime che non hanno commesso crimini e non sono del tutto innocenti, almeno di fronte alle generazioni future. E parla di verità, qualcosa che serve al progresso e che in particolare serve nella Bosnia di oggi». (Jasmila Zbanic in, D . La Repubblica delle donne, 28 ottobre 2006)  

«Grbavica» significa «una donna che porta un peso psicologico» ed è anche un quartiere di Sarajevo che più di dieci anni fa, durante la guerra, era sotto controllo serbo-montenegrino e usato come campo di violenze e torture. Un titolo significativo, che esprime dolore, memoria e destino. La traduzione in italiano (Il segreto di Esma) preannuncia invece che c’è un segreto da svelare, un dolore e una vergogna da confessare. La sequenza iniziale, una carrellata di primi piani di donne raccolte insieme, a occhi chiusi che pregano, piangono, pensano e guardano, racchiude in sé una forza emotiva fuori dal comune. Sono donne che si riuniscono al Centro per le donne, che fanno parte dell’Associazione delle ex prigioniere di guerra. Donne a cui è riconosciuto solo lo statuto di vittima di guerra ma a cui non è garantita una pensione da parte dello Stato. Sono vedove, madri sole, abbandonate e violentate, che vivono in condizione precarie sia da un punto di vista psicologico, sia da un punto di vista sociale.
La desolazione negli occhi di queste donne rispecchia la desolazione di una Sarajevo postbellica. La maestria di Zbanic, nata professionalmente come documentarista, sta proprio nel paragone visivo di questa desolazione, tristezza, abbandono. Sarajevo è mostrata in tutta la sua vulnerabilità, le ferite della guerra sono ancora ben visibili: strade desolate, palazzi abbandonati e sventrati dalle bombe, e un grigiore quasi «surreale». Gli abitanti sopravvivono e i segreti crescono come cresce la nuova generazione, una generazione per cui avere un genitore morto in guerra diventa motivo di orgoglio fra i banchi di scuola. Grbavica parla di segreti, di generazioni deluse, di madri e figlie e anche o forse soprattutto di maternità. Spesso i «padri» o sono morti o peggio ancora sono coloro che hanno abusato delle «madri». Secondo i dati delle Nazioni Unite, durante la guerra dei Balcani, circa ventimila donne di diverse religioni sono state violentate.
Quando in più da questa inaudita violenza nasce un essere umano, come si fa a essere mamme? Una possibilità ce la racconta la protagonista del film North Countr y della regista neozelandese Niki Caro (2005) in una scena con il figlioletto Sammie: «Io non ti volevo Sammie. Avevo subito una cosa orribile e volevo dimenticarmelo. Ma ogni giorno, la pancia che cresceva me lo ricordava. Neanche mi rendevo conto che c’era un bambino lì dentro, che lì dentro c’eri tu. Quel giorno, quella violenza subita, mi ha cambiata profondamente e credo che abbia anche inciso sull’idea che avevo di te. Io ero una ragazza stuprata e tu eri la cosa che me lo ricordava di continuo. Temevo questa conversazione dal giorno che sei nato. Era notte, ero distesa sul letto e ti muovevi dentro di me. Sentivo questa giovane farfalla che si allenava a sbattere le ali e in un istante, non so come, ho capito che tu non eri suo, tu eri mio, eri mio e che l’avremmo affrontata insieme, noi due da soli. Tu non c’entravi niente con quell’attimo ignobile».  

Martina Malacrida
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