Rivista per le Medical Humanities

La Medicina. Collana Dizionari dell’Arte

Giorgio Bordin, Laura Polo
D’Ambrosio
Electa,
Milano, 2009


È curioso che un volume dedicato alla medicina nella storia dell’arte
si apra con il volo di Icaro – e non, come pigramente ci si potrebbe
aspettare, con la morte di Esculapio. È curioso, ma non
fuori luogo. In fondo, come il mito di Icaro, quella della medicina
è una storia del limite. Limite inteso come zona di confine – tra
arte e scienza, tra natura e tecnica, tra diagnosi e speranza, tra la
vita e la morte – , ma anche come linea estrema: da raggiungere
e da superare. O da non superare. Il mito di Icaro, infatti, è innanzitutto
un mito della hybris. L’idea di sostituire simbolicamente
Icaro ad Asclepio quale mito fondatore della medicina è insolita
ma del tutto legittimata. Anche se l’interpretazione dei due curatori
che dovrebbe giustificare questa scelta risulta piuttosto
confusa.
Icaro non è l’unica sorpresa di questo dizionario per immagini.
Accanto a scelte obbligate e prevedibili troviamo infatti esempi
più originali e arditi. Oltre ai grandi «classici» come la Lezione di
Anatomia del dottor Tulp di Rembrandt (che, rappresentata in
un dettaglio a pagina 2 senza didascalie e commenti, rimane però
come esterna al volume), l’Estrazione della pietra della follia
di Bosch, o quella che è forse l’icona del medico per eccellenza,
il dottor Paul Gachet, dipinta dall’artista malato per definizione,
Van Googh), i due curatori ci propongono opere per nulla scontate,
ovvero non immediatamente riconducibili alla malattia
o alla cura. Penso per esempio a The Pearce Family di Lucian
Freud. Eppure, più che la Malata di Parkinson di Richer è l’opera
di Freud che perfettamente illustra la voce cronicità: al nucleo
originario del dipinto Freud spesso aggiungeva progressivamente
parti di tela che rappresentavano nuovi e incisivi
frammenti di vita del soggetto ritratto.
Quanto alle sezioni e alle singole voci, presenze imprescindibili
come la Visita al malato, la Peste, la Malinconia, l’Infermiere,
il Lazzaretto, Ippocrate, l’Autopsia, la Fisiognomica, il Miracolo,
sono seguite da sezioni meno prevedibili: oltre ad Attesa e
Speranza, chi si occupa di Medical Humanities, sarà particolarmente
interessato all’ultimo capitolo, che ospita le seguenti voci:
Solitudine, Prigionia, Abbraccio, Pazienza, Presenza,
Palliazione, Sguardo. Peccato che siano raccolte in una sezione
dal titolo piuttosto infelice (e improprio) «La dimensione umana
della malattia». Come se le altre sezioni (Il malato, La malattia,
La follia, L’assistenza, I luoghi della cura, La medicina, Il medico,
Il dolore, La guarigione) rappresentassero la dimensione disumana,
sovrumana o non-umana della malattia.
Nel complesso, questo dizionario – curato da un medico (Bordin)
e da una storica dell’arte (Polo D’Ambrosio) – è una sintesi agevole
e ben pensata. Speriamo che questo lavoro rappresenti uno
strumento stimolante per chi si occupa di medicina in generale
e più nello specifico di Medical Humanities, e non si riduca soltanto
a una comoda riserva per realizzare senza fatica suggestivi
power point per convegni a venire.

Chantal Marazia
 
top