Sicko
Regia Michael Moore, Stati Uniti, 2007
Michael Moore torna sul grande schermo e se la prende con il sistema sanitario targato USA. Dopo la General Motors (Roger & me, 1989), le lobby statunitensi delle armi (Bowling for Columbine, 2002) e le menzogne di Bush sulla guerra in Iraq dopo l’11 settembre (Fahrenheit 9/11 , 2004), il regista colpisce al cuore gli americani e colpisce dove fa più male, nel vero senso della parola: sono 50 i milioni di cittadini non coperti da un’assicurazione malattia e ben 250 milioni quelli coperti ma che devono lottare con le assicurazioni per farsi riconoscere e pagare le prestazioni sanitarie e di conseguenza migliaia e migliaia i morti. Il regista che ha portato il genere documentario alla ribalta, propone anche per Sick ola stessa costruzione filmica e narrativa, quello che si dice un film a tesi: alcune interviste scelte che supportano la tesi in questione, l’esclusione del contraddittorio, nessun personaggio che può confutare la tesi (in questo caso: i rappresentanti delle compagnie assicurative o dei pazienti con storie a lieto fine) e l’immagine da mondo dei sogni (non sempre veritiera) che Moore propone della stessa situazione in altre nazioni. Per scegliere le storie da raccontare, il regista ha chiesto sul suo sito internet agli americani di inviare le loro narrazioni sulla sanità: quasi 250 mila e-mail in una settimana. I protagonisti del film non sono solo quei milioni di cittadini che non hanno l’assicurazione sanitaria, ma soprattutto quei milioni che una copertura assicurativa ce l’hanno ma che vedono negar loro le cure a causa della disonestà delle assicurazioni che pensano solo nella logica del profitto, anche e soprattutto a scapito della salute dei cittadini.
In Sicko (ma in fondo anche in tutti i film precedenti) la debolezza sta proprio nella semplificazione del problema, nelle soluzioni troppo facili e, arriverei quasi a dire, banali: un’assicurazione universale e gratuita per tutti i cittadini, l’abolizione di tutte le compagnie assicurative private e la regolamentazione delle ditte farmaceutiche. Soluzioni non attuabili e non attuate nemmeno nei «mondi dei sogni» che lui presenta: Gran Bretagna, Francia, Canada, Cuba.
Bisogna però ammettere che il punto di forza di Moore e dei suoi film è la capacità di suscitare il dibattito, di far diventare il problema un problema politico. La copertura sanitaria non universale del sistema statunitense è una decisione politica: era il 1971 quando l’allora presidente Richard Nixon ha concepito il sistema sanitario come un libero mercato che non prevede l’obbligo alla copertura assicurativa. La storia si ripete anche con altri presidenti: la riforma sanitaria proposta dall’allora first lady Hillary Clinton era di per sé molto buona, ma, nel 2003, per poter far approvare la legge anche lei ha dovuto venire a patti, scendere a compromessi con le lobby delle assicurazioni e delle ditte farmaceutiche. Per non parlare del presidente George W. Bush che proprio nei mesi scorsi ha usato il diritto di veto per bloccare l’espansione del programma pubblico per l’assistenza sanitaria dei bambini statunitensi che avrebbe garantito l’health care a circa 10 milioni di bimbi contro gli attuali 6,6 milioni. Oramai è evidente che il business legato alla sanità è il business del futuro in tutte le nazioni, Svizzera compresa. E allora ben vengano anche film imperfetti come Sicko, se tengono acceso il dibattito democratico e non permettono di dimenticare la via già intrapresa dall’America, che rischiamo di seguire anche noi.
Martina Malacrida