La niņa santa
Regia Lucrecia Martel, Argentina, 2004
«È un racconto sul bene e sul male, non sulla sfida, ma sulla difficoltà e i pericoli di distinguerli l’uno dall’altro». Con queste parole Lucrecia Martel, già regista dell’apprezzato e pluripremiato La cienaga, ha commentato il suo secondo lungometraggio La niña santa. Film selezionato nella Competizione internazionale al Festival di Cannes 2004, coprodotto dalla Deseo Film dei fratelli Almodovar e da Lita Stantic. La Fondazione Monte Cinema Verità ha partecipato alla realizzazione del film. È inverno nella città La Cienaga. Dopo le ripetizioni del coro, le ragazze si ritrovano nella chiesa parrocchiale per discutere di fede e vocazione. Amalia e Josefina sono sedicenni. Durante la discussione bisbigliano tra di loro. Argomento: il bacio. Josefina proviene da una famiglia provinciale conservatrice. Non lontano dalla casa di Josefina sorge l’hotel Termos, gestito dalla madre divorziata di Amalia con la quale vive insieme al resto della famiglia. Proprio nell’hotel, Amalia incontra il Dr Jano e scopre che la sua vocazione è salvarlo dal «peccato».
La regista argentina racconta una storia tra personaggi malinconici, una narrazione sulla difficoltà e sui pericoli di distinguere il bene dal male, dello scavare dentro la propria intimità, le proprie paure, debolezze, il proprio inconscio. La niña santa è un film sul tutto e il niente, non ha necessariamente un punto di arrivo: è uno spaccato di vita umano e complesso. Infatti niente è lasciato al caso, tutto è curato da Martel nei minimi dettagli, con una precisione quasi maniacale.
Il suono è uno degli elementi fondamentali che danno forza al film. Precede spesso le immagini confermando l’ambiguità delle situazioni, l’intensità del desiderio e di conseguenza l’aumento dei sensi di colpa comunicati allo spettatore attraverso il bisbigliamento delle preghiere di Amalia. La regista ci invita a prestare attenzione anche alle percezioni uditive dei protagonisti, sia attraverso il suono sia attraverso le immagini. In effetti sono frequenti i piani ravvicinati sulle orecchie dei personaggi; non è un caso che i medici presenti all’hotel siano specialisti dell’udito. Le inquadrature sono composte con grande cura nell’illuminazione, nei contrappunti dei gesti e nell’ammirevole interpretazione degli attori. Tutto è visto attraverso un occhio femminile che mi ricorda quello di María Luisa Bemberg, un’altra grande regista argentina.
Il film non trae conclusioni, non sussurra una soluzione ai problemi morali insinuati e, soprattutto, non giudica né l’atto né il pensiero dei personaggi. È un’analisi approfondita sull’animo umano e sull’impossibilità di seguire i modelli manicheisti di qualsiasi società, in questo caso cattolica. Uno sguardo «Buñueliano», tinto di rosa.
La niña santa riconferma il grande talento di Lucrecia Martel e di tutto il giovane cinema argentino, risollevatosi dalle ceneri della crisi economica.
Martina Malacrida