Rivista per le Medical Humanities

Il dolce domani (Des beaux lendemains)
Regia Atom Egoyan, Canada, 1997

Il dolce domani si colloca con le sue tematiche precisamente in quella regione fra destino e destinazione oggetto del Dossier di questo numero.
L’evento drammatico irrompe qui nella forma dell’incidente: l’autobus della scuola, carico di bambini, esce di strada e finisce nel lago ghiacciato. Violento colpo del destino? Errore umano? O conseguenza prevedibile – e prevenibile – della scelta consapevole di sacrificare la sicurezza al vantaggio economico (come sostiene l’avvocato Mitchell Stevens)? O, ancora, punizione divina?
L’incidente – il bus che scarta dal suo tragitto abituale – rappresenta qui, attraverso una forma ad alta efficacia simbolica, la grande rottura nel percorso esistenziale che tocca tanto i bambini che vi perdono la vita, quanto i loro genitori, quanto i superstiti (l’autista Dolores e l’adolescente Nicole, che resterà paralizzata a vita); che tocca anche chi, destinato a essere su quell’autobus, non vi era salito (perché, p. es., rimasto a casa ammalato, come la sorella di Nicole). Rottura nel percorso delle vite individuali e nel corso della vita collettiva (una comunità che si ritrova quasi senza più bambini, quasi senza più futuro). Interruzione di progetti, di sogni («Je ne savais pas qui tu étais, je ne connais pas les rêves que tu avais avant l’accident, mais même moi j’éprouve ce sentiment [de pitié]» – l’avvocato a Nicole in sedia a rotelle).
Il bus che non arriverà mai a destinazione. La vita che scarta dal suo cammino: a morire sono proprio bambini e bambine, con tutti i loro sogni ancora intatti, con un futuro che si lasciava immaginare sereno e lineare, con la promessa non ancora disattesa di continuare ad essere fonte di gioia per i loro genitori. A restare sono invece proprio gli adulti e i figli cresciuti che già da tempo ormai hanno visto il loro percorso esistenziale, il proprio progetto di vita – sul piano matrimoniale, genitoriale… –, infrangersi, almeno in parte, contro ostacoli numerosi e diversi (la morte della moglie per malattia, la rovina della figlia nella tossicodipendenza…). Adulti confrontati ora a un’ulteriore rottura – tremenda, irreparabile – nella loro esistenza. Una rottura di fronte a cui si porranno ciascuno con un atteggiamento differente, come è messo in evidenza dalle interazioni tra l’avvocato e le diverse figure.
Molte e varie sono infatti le reazioni e i tentativi di rispondere alla domanda destinata a restare aperta: perché? Fatalità per gli uni, per gli altri errore di cui bisogna identificare la causa, punire il colpevole e impedire il ripetersi (Mitchell Stevens: «Un accident n’existe pas, madame, c’est un mot sans signification pour moi»). Ma c’è anche chi cerca la causa in direzione del soprannaturale. E c’è poi chi, come Nicole, percepisce l’accaduto attraverso la mediazione di una fiaba – quella del pifferaio di Hamelin, che nel film prende via via più spazio, fino ad assurgere a metafora di tutta la vicenda.
La lettura del terribile evento alla luce di una narrazione finzionale, pur non potendo annullare l’entità del dramma, aiuta probabilmente Nicole ad accettare con ammirevole dignità il suo destino (analogo a quello del bambino zoppo della fiaba che, troppo lento rispetto agli altri, resta fuori dalla grotta in cui il pifferaio magico ha condotto i piccoli, e che resterà solo: «Des années plus tard, il sanglote encore de désespoir. La ville est triste – raconte-t-il en pessimiste – tous mes amis ont disparu, de moi on n’a pas voulu au pays enchanté où ils s’en sont allés et qu’à moi aussi le joueur avait promis. Il avait dit: venez, je vous conduis au paradis, tout près d’ici; en un pays où les sources sont claires, où abondent vergers et rivières, où les fleurs ont couleurs plus belles, où toute chose est nouvelle»).
Un ulteriore aspetto merita di essere considerato: il posto occupato dal tema della malattia in un film che pone al suo centro l’evento dell’incidente mortale. Sembrerebbe quasi che, in opposizione al carattere totale e irreparabile di quest’ultimo, cui pare impossibile attribuire un senso, la malattia abbia sotto diversi aspetti una connotazione positiva: è il caso della malattia che costringe la sorella di Nicole a restare a casa da scuola, permettendole di salvarsi, ma pure della paralisi della stessa Nicole che determina l’interruzione del rapporto incestuoso con il padre. È anche il caso della notizia della sieropositività di Zoè che spinge Mitchell Stevens a finalmente andare a (ri)trovarla. Le chiavi attraverso cui Il dolce domani si lascia leggere sono naturalmente ancora molte: dalla polarità verità-menzogna, alla portata di frattura o di coesione del male collettivamente condiviso, al ruolo che il diritto può assumere di fronte alla sofferenza, al senso di colpa dell’adulto di fronte alla morte di un bambino…  

Guenda Bernegger
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